Quello della musica jazz è un universo così vasto e sconfinato che non basterebbe una vita per imparare ad apprezzarne tutte le sfumature; questo genere musicale ha origini antiche e anche i balli che ha contribuito a diffondere sono davvero infiniti: noi di Stile Millelire, ad esempio, amiamo particolarmente le social dance. Tra di esse la più nota è senza dubbio il lindy hop, che a sua volta si è ramificato in diverse varianti culturali e regionali.
Ma non tutti i balli jazz sono social! Non sempre, infatti, c’è bisogno di un partner per esibirsi; il cosiddetto solo jazz (che in molti chiamano anche vintage jazz) si può ballare anche da soli e dal punto di vista stilistico si presenta come un incrocio di diversi altri balli. Quali sono e come si chiamano le tre principali coreografie? È presto detto: sono lo Shim Sham, il Tranky Doo e la Big Apple, e nelle righe a venire andremo a parlarne approfonditamente.
La storia delle danze jazz e le loro origini tribali
I balli jazz nascono nel Nord America in concomitanza con lo sviluppo dell’omonima musica. Purtroppo, fin dagli albori, i governi americani non avevano grande simpatia per queste forme di danza primitive che animavano gli schiavi nelle piantagioni di cotone: tuttavia, le classi più povere non hanno mai smesso di ballare e cantare a loro modo, dando la possibilità a questa cultura di non morire sul nascere. Prima che si sviluppassero e si codificassero i balli che conosciamo tutt’oggi, comunque, le danze jazz erano perlopiù di stampo tribale.
Una delle danze ricreative più popolari era la calenda, che vedeva una fila di uomini contrapporsi ad altrettante donne per ballare; al ritmo dei tamburi si scatenava così un ballo che all’epoca veniva ritenuto indecente e peccaminoso, portando la chiesa e i suoi esponenti ad assumere un atteggiamento ostile nei confronti di chi lo praticava. In altri casi, invece, le danze arrivavano direttamente all’Africa – terra di origine degli schiavi neri – ed avevano origini animali, in quanto se ne imitavano selvaggiamente le movenze.
Con il passare degli anni, comunque, questi balli si sono evoluti e trasformati. Alcuni sono rimasti strettamente sociali; altri ancora, come abbiamo detto in apertura, sono delle coreografie che si possono ballare anche in solitaria. Ciò che non è cambiato è l’attitudine: sempre selvaggia e scatenata!
Il “solo jazz” e le sue caratteristiche fondamentali
Le danze jazz si sono così evolute dai loro albori, diventando dei balli sociali come il charleston, il lindy hop, il balboa e quant’altro. Allo stesso tempo si è sviluppata una corrente di ballo che non necessita di un partner; il cosiddetto solo jazz può essere coreografato oppure totalmente improvvisato, come la musica jazz stessa. In ogni caso, l’utilizzo delle gambe è fondamentale: il segreto si nasconde nel saper muovere gli arti inferiori in maniera scatenata e al contempo armoniosa, lasciando ferma la parte superiore del corpo. Il senso del ritmo è cruciale, così come la personalità del ballerino: nel solo jazz ogni interprete può infondere un marchio unico e inconfondibile al proprio stile.
Stando ai maggiori esperti, potremmo dire che in questo campo il senso del ritmo in sé ha un’importanza di gran lunga superiore alle movenze stesse; non essendoci limiti, il ballerino può dar sfogo a tutto il suo istinto primitivo, lasciandosi semplicemente trasportare dalle note. Il principio è sempre lo stesso alla base del jazz: libertà e improvvisazione senza confini, pura emotività trasposta in movimento. Ci sono poi altri modi di intendere questi balli, ovvero tramite delle coreografie: la più celebre rimane lo Shim Sham, un ballo di gruppo reso celebre da Frankie Manning. Ci sono poi altre due routine molto note nell’ambito del solo jazz…
Le routine del “solo jazz”: quando e come sono nate
Oltre allo Shim Sham, come già detto, le due routine principali del solo jazz sono il Tranky Doo e la Big Apple. Entrambe hanno una storia e delle caratteristiche uniche: la prima è molto comune nell’ambito del lindy hop, proprio come lo Shim Sham. La forma che è giunta fino ai giorni nostri pare sia stata ideata in principio dal grande ballerino Pepsi Bethel, e che fu ballata per la prima volta nel 1940 nel celebre locale di Harlem: il Savoy Ballroom.
Il Tranky Doo è una routine molto divertente che si balla sulle note di Tuxedo Junction di Erskine Hawkins; il nome deriva dal nomignolo che Frankie Manning aveva dato a una ballerina della sua troupe. Se ne può ammirare un estratto originale dell’epoca nel documentario Spirit Moves, uscito nel 1950 e facilmente reperibile online. Anche la Big Apple è una routine particolarmente amata dai lindy hoppers. Le sue origini risalgono agli anni ‘30; questa volta non siamo nello stato di New York, bensì nella Carolina del Sud.
All’epoca questo territorio era provato dalle tensioni razziali, che mantenevano separate le etnie a compartimenti stagni: proprio per questo il ballo in questione è rimasto per molto più a lungo una tradizione ad uso e consumo delle comunità afroamericane. Tuttavia, anche in questo caso il ballo è riuscito a vincere i pregiudizi: i giovani studenti americani, che spesso osservavano gli sfrenati balli delle comunità nere, replicavano gli stessi movimenti nei club della capitale Columbia. E il locale più celebre, all’epoca, si chiamava proprio Big Apple! Proprio così nacque il nome di questa routine, ormai sdoganata e famosa in tutto il mondo.