Se esiste un genere musicale che più di ogni altro rappresenta la libertà, nel suo senso più intimo e profondo, quello è senza dubbio il jazz. Si tratta di una vera e propria cultura che trascende i confini della musica per sconfinare in qualcosa di molto più grande e importante: darne una definizione è infatti molto difficile, in quanto ognuno ritrova nel jazz qualcosa di unico, diverso e profondo.
Gli amanti del ballo vintage lo conosceranno per via dell’era dello swing e delle big band del jazz, negli anni ‘30 e ‘40: in questo periodo, infatti, è nato il Lindy Hop. Ma quando si parla di jazz non si intende solo questo, anzi, tutt’altro; in questo articolo cercheremo di ripercorrere la storia di questo genere e della sua cultura, affinché tutti i nostri lettori possano capirlo ed apprezzarlo al meglio. Buona lettura!
Le origini del jazz, dalle piantagioni di New Orleans ai grandi palcoscenici
Il jazz, il blues, lo swing e il ragtime. Che cosa accomuna tutte queste cose? La risposta è più semplice che mai: si tratta di termini e movimenti nati dagli schiavi afroamericani, che agli inizi del XX secolo furono portati negli Stati Uniti e costretti a lavorare nelle piantagioni di cotone. Le condizioni di lavoro erano fin troppo spesso disumane e l’unico modo per sopravvivere a una vita del genere risiedeva nel canto e nella musica. Nascevano così le canzoni da lavoro (worksongs in lingua originale): si trattava di melodie del tutto improvvisate che gli schiavi utilizzavano – grazie al ritmo binario – per coordinare i movimenti e lenire le sofferenze.
Inizialmente, comunque, questa forma musicale non aveva una vera e propria definizione. Si trattava di qualcosa di spontaneo, naturale ed improvvisato. Solo qualche anno dopo, intorno al 1910, qualcuno ebbe l’idea di utilizzare per primo il termine “jazz” per definirla: la città è New Orleans, la culla della cultura musicale afroamericana, e la parola in questione prende origine da un vocabolo francese traducibile come “gioia di vivere”. In questi primi anni, il genere non era ancora stato perfettamente codificato; tuttavia si impose quasi immediatamente come simbolo della fusione di diverse culture. L’unica cosa certa è che si fondava su due principali caratteristiche: il ritmo e l’improvvisazione.
La nascita delle prime band e l’era dello swing: gli anni ‘30 e ‘40
Negli anni successivi il jazz continuò a simboleggiare la cultura afroamericana, diventando un irresistibile connubio di ritmi neri e virtuosismi (vocali e strumentali); presto iniziò ad affermarsi anche nei locali e nelle sale da ballo: la formazione classica prevedeva un quartetto di musicisti, composta da una batteria, un basso, un pianoforte ed uno strumento solista che poteva essere un sax, un clarinetto o più frequentemente una tromba. Il jazz si fece strada anche in Europa e l’improvvisazione divenne un aspetto sempre più importante: fra i massimi esponenti di questa innovazione c’è senza dubbio Louis Armstrong, tutt’oggi considerato come uno dei più grandi jazzisti di sempre.
Negli anni ‘30 nascono le prime cosiddette big band, che daranno il via a un’era irripetibile. Abbiamo fin dal principio definito il jazz come un genere musicale nato dall’incrocio di più culture, e non a caso uno dei più importanti innovatori in questo ambito fu Benny Goodman: bianco e di origini ebree, questo clarinettista fu tra i primi a trasformare il jazz, donandogli un tempo costante e rendendolo così ballabile. Così prende vita lo swing, una nuova forma di jazz le cui canzoni sembrano iniziare sottotono per poi esplodere letteralmente, dando modo ai ballerini in pista di scatenarsi!
Gli Stati Uniti diventavano, nel corso degli anni ‘30 e ‘40, la patria del jazz e dello swing. Mentre le città di New York e Chicago ne erano i maggiori centri nevralgici. Nei locali e nei palcoscenici di queste metropoli muovevano i loro primi passi delle future leggende come Billie Holiday e Fats Waller; in ogni stato americano si sviluppavano, inoltre, una miriade di varianti locali. La diffusione del jazz in questi anni riuscì anche a contrastare il tema del razzismo: certo, molti passi ancora andavano compiuti (e molti in realtà ne vanno tutt’oggi compiuti), ma finalmente diverse orchestre erano miste e la segregazione iniziava a diventare solo un triste ricordo.
Mille sfumature di jazz e altrettanti motivi per amarlo!
Come avrete capito, quindi, la cultura del jazz oltrepassa le barriere della musica. Le sue origini dal basso, il contributo fondamentale alla lotta contro i pregiudizi e il razzismo, la possibilità di improvvisare dando sfogo artistico alle emozioni più intime sono solo alcuni degli esempi che lo rendono qualcosa di unico. Ci sono quindi mille ragioni per amarlo: una delle tante, ovviamente, è che grazie a lui – e alla sua variante nota come swing – hanno preso forma il Charleston e di conseguenza il Lindy Hop, il Collegiate e tutti i balli jazz che tanto amiamo.
Il jazz, inoltre, ha contribuito in maniera concreta allo sviluppo di diversi altri generi musicali, il blues su tutti. E senza il blues… beh, non avremmo neanche il boogie, né tantomeno il rock’n roll. È davvero nato tutto dallo stesso seme, anche se oggi in molti faticano a ricordarlo! Inoltre, il jazz oggigiorno si è sviluppato in ulteriori ramificazioni, a volte più virtuosistiche, altre ancora sotto forma di musica da camera. Di certo, comunque, si tratta di un universo in grado di mettere d’accordo non solo culture lontane, ma anche diverse generazioni. Lunga vita al jazz, quindi!