Tra le pagine del magazine di Millelire abbiamo già avuto modo di esplorare il mondo del jazz e dello swing italiano, propondendovi la storia e le vite di alcuni dei più illustri rappresentanti della nostra musica preferita nel pieno dei suoi anni d’oro: la commovente storia del Trio Lescano, ad esempio, ma anche la vita spericolata di Fred Buscaglione e il coraggio di Natalino Otto, che con la sua musica proibita sfidò senza timori il regime fascista. Oggi parleremo di un altro grande artista in grado di ritagliarsi uno spazio di primo piano nella musica italiana dell’immediato dopoguerra, e che con un pugno di canzoni praticamente perfette riuscì ad entrare per sempre nell’immaginario popolare: il grandissimo Renato Carosone.
L’infanzia di Renato Carosone, tra la sua Napoli e i tour in Africa Orientale
Quando parliamo di immaginario popolare ci riferiamo proprio alla capacità di un artista di uscire dal suo ambito per entrare nella vita quotidiana di ognuno; tu vuò fa l’americano è forse l’esempio più lampante di ciò che intendiamo: non solo il titolo ed il ritornello di una canzone famosissima, ma un vero e proprio detto popolare che a distanza di oltre mezzo secolo contraddistingue un’abitudine e un modo di porsi. Ma com’è nato il Renato Carosone cantante e musicista? Per saperlo dobbiamo tornare indietro nella Napoli del 1920, e per la precisione al 3 gennaio, quando il piccolo Renato (il cui cognome all’anagrafe risulta “Carusone”, differendo per cui di una vocale rispetto al nome con cui tutti lo conosciamo) nasce in una famiglia nella quale la passione per la musica non mancava affatto.
La madre, prematuramente scomparsa nel 1927, suonava infatti il pianoforte mentre il padre si dilettava con il mandolino; iniziò quindi a suonare da giovanissimo e già a 10 anni prendeva lezioni dai più grandi maestri d’orchestra dell’epoca. Nel 1935 era già stato scritturato come pianista presso il teatro dell’Opera dei Pupi, mentre un paio d’anni dopo si diploma in pianoforte al Conservatorio; risale proprio a questo periodo la collaborazione con la compagnia diretta dall’attore e comico Aldo Russo, che lo vuole con sé in occasione di un tour nell’Africa Orientale (una parte del continente all’epoca protagonista delle campagne coloniali del regime fascista). Qui, per la precisione in Eritrea, arrivano le prime delusioni per Carosone: il pubblico, composto principalmente da italiani del nord, non riusciva a comprendere il dialetto napoletano e gli spettatori finivano puntualmente per tornare al botteghino e chiedere il rimborso del biglietto.
La Seconda Guerra Mondiale, la chiamata alle armi e il ritorno in patria
Le avventure della compagnia di Aldo Russo in Eritrea ebbero quindi vita breve, in quanto l’attore scelse di tornare quanto prima a Napoli; non tutti lo seguirono, però. Renato Carosone era uno dei membri che decise nonostante tutto di rimanere, viaggiando fino ad Asmara (capitale nonché maggior centro abitato dell’Eritrea) per continuare a suonare il suo pianoforte in un’altra orchestra: quella di Gigi Ferracioli, che si esibiva quotidianamente al Circolo Italia. Fu una vera fortuna per Carosone, che proprio in questa occasione conobbe la ballerina veneziana Italia Levidi: i due si sposarono nel 1938 e solo l’anno successivo nacque il loro primo figlio. Dopo essersi trasferito in Etiopia, a Addis Abeba, Carosone venne chiamato alle armi nel 1940: la Seconda Guerra Mondiale era purtroppo scoppiata e al giovane musicista non rimase che dirigersi al fronte in Somalia; nel corso del conflitto, il nostro continuò comunque a suonare la propria fisarmonica per i numerosi militari americani lì presenti, che all’epoca non cercavano altro che un momento di svago da quei terribili giorni.
Fu solo al termine della guerra che Renato Carosone potè finalmente tornare in patria, riunirsi alla moglie e continuare la propria carriera da musicista, dimenticando gli orrori visti e vissuti nel corso dei cinque anni precedenti: assieme al chitarrista olandese Peter Van Wood e al poliedrico percussionista Gegè Di Giacomo, nasce così nel 1949 il Trio Carosone; tra numerosi cambi di formazione e altrettante canzoni di successo, la compagine guidata dal nostro sono inoltre protagonisti di un primato non da poco: nel 1954 furono infatti proprio loro i primi musicisti a comparire in un programma televisivo italiano, “L’Orchestra delle Quindici”!
Gli anni del successo mondiale e l’inaspettato ritiro
La carriera di Renato Carosone ha oramai definitivamente fatto il balzo: i primi dischi in vinile compaiono sul mercato e Maruzzella (1954) diventa subito uno dei maggiori successi del cantautore napoletano, tanto da diventare addirittura un film due anni dopo. Grazie alla collaborazione con il paroliere Nicola Salerno, i successi non smettono di fioccare: Tu vuò fa l’Americano (1956) è tutt’oggi il più noto, ma anche Torero (1957) e O Sarracino (1958) ne consolidano una fama a dir poco internazionale; basti pensare che Torero rimase per oltre quindici giorni in cima alle classifiche americane! La musica e le canzoni di Renato Carosone, in quegli anni, avevano una marcia in più: i suoi concerti erano dei veri e propri spettacoli, grazie anche ai suoi sodali di sempre (soprattutto il già citato Gegè Di Giacomo) che riuscivano ad intrattenere e a coinvolgere il pubblico come pochi altri artisti dell’epoca; dal punto di vista stilistico, la loro proposta era una combinazione irresistibile di jazz, swing e boogie woogie, con delle canzoni che arrivavano dritte dal repertorio dei grandi classici napoletani.
L’intelligenza e le qualità di Renato Carosone nel saper miscelare questi ingredienti in maniera unica fu la chiava del suo grande successo, che sul finire degli anni ‘50 porterà lui e la sua orchestra ad esibirsi a Cuba, in Brasile e a New York; l’Italia intera rimase sconvolta quando nel 1960 annunciò, di soprassalto, il ritiro dalle scene: da quel giorno furono poche le occasioni in cui si esibì davanti a un pubblico (nel 1995 gli dedicarono una prima serata in RAI, e nel 1998 cantò a Capodanno in Piazza del Plebiscito a Napoli, di fronte a 200.000 persone). Il suo nome era già leggenda.