Se vi state avvicinando per la prima volta al mondo dei balli swing ed all’improvviso, mentre siete in pista, tutti si fermano per partecipare a un’unica coreografia… beh, potreste rimanere un po’ disorientati e chiedervi che cosa stia succedendo. Non preoccupatevi: non si tratta di un momento di follia collettiva; si tratta solo dello Shim Sham Shimmy!
Se si può affermare che ogni cultura abbia un particolare rito collettivo, lo Shim Sham lo è senza alcun dubbio per il mondo dello swing e dei balli jazz. Anche questa tradizione, come spesso accade, arriva da molto lontano e ha delle regole ben precise: da cosa deriva? Chi l’ha ideata? Come si balla? Il magazine di Stile Millelire è nato proprio per rispondere a queste domande. Per cui, se siete curiosi, mettetevi seduti e continuate a leggere!
La storia dello Shim Sham Shimmy e le sue radici storiche
Anche lo Shim Sham Shimmy come lo intendiamo oggi ha visto il momento di massimo splendore e popolarità nel cuore della swing era, ovvero dagli anni ‘20 agli anni ‘40 del Novecento. Come in molti già sapranno, a quei tempi la capitale mondiale del ballo era New York e il suo centro nevralgico risiedeva nel quartiere di Harlem, e per la precisione quel pugno di locali che ospitavano ogni sera le migliori band della metropoli; il Savoy Club, ovviamente, ma anche il Cotton Club (e se volete conoscere al meglio questi luoghi storici, vi invitiamo a leggere l’articolo che abbiamo scritto in merito).
Sono invece in pochi a conoscere quali sono le vere origini dello Shimmy, che risalgono addirittura al secolo precedente: per raccontarle, bisogna tornare nella metà dell’Ottocento in quei locali che venivano chiamati juke joint e nei quali ci si radunava per bere, giocare e ballare tutti assieme; il nome deriva dal termine creolo joog, che potremmo tradurre come “chiassoso” e la clientela era perlopiù afroamericana.
Al giorno d’oggi definiremmo questi luoghi come delle bettole di quart’ordine, ma all’epoca erano una vera e propria valvola di sfogo per tutti quei mezzadri e lavoratori agricoli di colore: erano sufficienti quattro mura in legno e qualche lastra di lamiera per permettere loro di scatenarsi e divertirsi dopo una lunga e dura giornata nei campi; si suonava la musica che sarebbe poi diventata il blues e si beveva il moonshine, un caratteristico liquore di mais. Ma soprattutto si ammiravano le donne ballare, con le loro camicie di seta: scuotendo le spalle e muovendo il petto, questi indumenti si muovevano di conseguenza, evidenziando le morbide e caratteristiche pieghe (shims).
L’evoluzione dello Shim Sham Shimmy negli anni ‘20
Non di rado le origini di un ballo si perdono nei meandri della storia. Lo Shim Sham non fa eccezione: basti pensare che alcuni studi ad opera dei Dance History Archives lo descrivono come la derivazione dello shika, un ballo tipico dell’etnia Yoruba (popolazione dell’Africa occidentale diffusa in Nigeria, ma anche in Togo, nel Benin ed in Sierra Leone). Per certo, comunque, sappiamo che nei primi anni del Novecento lo Shim Sham Shimmy iniziò ad apparire anche nei club delle grandi città, diventando uno standard anche al di fuori delle popolazioni afroamericane.
Fu verso la fine degli anni ‘20 che lo Shim Sham Shimmy prese la forma che tutt’oggi conosciamo: il merito è universalmente attribuito a due ballerini di Tap Dance, Willie Bryant e Leonard Reed. Questa coppia di intrattenitori per primi ebbero l’intuizione di riprendere questa danza ed istituzionalizzarla, rendendola il capitolo conclusivo dei loro spettacoli e cimentandosi sulle note di Tuxedo Junction e Ain’t What You Do; inizialmente il nome del ballo sarebbe dovuto essere Goofus, ma solo in seguito divenne Shim Sham… in onore del nome di un locale nel quale si esibivano regolarmente! Coincidenza o meno non sta a noi definirlo, ma è una curiosità di indubbio fascino.
I passi e le canzoni per ballare lo Shim Sham Shimmy
La semplicità di questi passi, unita alla sempre più incalzante moda dei balli swing e del Lindy Hop, fu un invito a nozze per tutti i ballerini che frequentavano le sale da ballo all’epoca; questa coreografia di Tap Dance venne così adottata ufficialmente e fin dai primi anni ‘30 al termine degli spettacoli ci si radunava per ballarlo tutti insieme. Dopo poco tempo, lo Shim Sham si diffuse anche al di fuori delle ballroom, diventando fonte di ispirazione per il Madison, l’Hully Gally e molti altri balli di gruppo che fiorirono negli anni a venire. Esistono diverse varianti in ambito swing, ma la più nota ai giorni nostri è quella dell’eterno Frankie Manning.
Fu proprio l’ambasciatore dello swing, infatti, a riportarlo in auge negli anni ‘80, provvedendo poi ad insegnarlo a tutti i suoi allievi negli anni a venire. Ma anche Dean Collins aveva la sua versione dello Shim Sham, così come è molto apprezzata anche l’interpretazione di Al Minns e Leon James. Sono diverse anche le canzoni sulle cui note ballare lo Shim Sham: quella più idonea per imparare a muovere i primi passi rimane l’originale ad opera dello stesso Leonard Reed, ovvero Bar Rif Instrumental. Ma le già citate Tuxedo Junction di Erskine Hawkins e Ain’t What You Do di Jimmy Lunceford sono altrettanto note. La Bill Elliott Swing Orchestra gli ha addirittura dedicato il titolo di una canzone: The Shim Sham Song!