Quando parliamo di moda anni ‘40 parliamo generalmente della diffusione degli abiti di derivazione militare, oppure di gran rigore e sobrietà. In realtà, sebbene questi siano i tratti salienti del vestire dell’epoca, questo decennio è stato fortemente caratterizzato da una particolare sottocultura: quella dello Zoot Suit.
Questo abito dal taglio immediatamente riconoscibile ha rappresentato per anni le comunità afroamericane degli Stati Uniti, ma è stato adottato anche dagli italoamericani e in parte da alcuni gruppi della criminalità organizzata. Ma qual è la storia dello Zoot Suit? Mettetevi comodi, stiamo per scoprirla assieme!
Le origini dello Zoot Suit e le sue caratteristiche
L’estetica dello Zoot Suit si basa sostanzialmente sul concetto di esagerazione e di esasperazione; in questo caso parliamo degli abiti maschili del decennio precedente (gli anni ‘30), che già in origine presentavano dei pantaloni molto più ampi del necessario e delle giacche dalle spalle particolarmente larghe. Furono principalmente gli adolescenti e i giovani entro i vent’anni a inaugurare questa moda, iniziando a vestire con degli abiti ancora più larghi e vistosi: era visto come un modo per differenziarsi, soprattutto nei quartieri più poveri.
A margine potremmo aggiungere che il nome dello Zoot Suit è piuttosto ridondante; nel caso ve lo stiate chiedendo, infatti, zoot non è altro che una storpiatura di suit, ovvero “abito”! Dalle zone più ai margini della società civile, i ragazzi che adottavano questo stile frequentavano – come molti loro coetanei – le più popolari sale da ballo di New York, mettendosi bene in vista e contribuendo a diffondere questo stile non solo ai ballerini ma anche ai musicisti… non a caso anche dei giganti come Dizzy Gillespie e Louis Armstrong lo adottarono presto.
Nei primi anni ‘40, quando questo stile era ormai stato perfettamente codificato, lo Zoot Suit consisteva nella già citata giacca dalle spalle larghe e con delle falde lunghissime, fino al ginocchio. Anche i pantaloni erano molto larghi nella loro parte superiore, e tra gli accessori non poteva mancare l’orologio da taschino, una cravatta e delle bretelle. Ai piedi, invece, delle scarpe a coda di rondine – spesso bianche e nere – ed in testa un bel Fedora a tesa larga: il celebre trombettista Harold Fox lo definì uno stile che proveniva direttamente dal ghetto.
La seconda metà degli anni ‘40 e le “Zoot Suit Riots”
Harold Fox, oltre a darne una definizione perfetta, fu anche colui che battezzò per primo questo abito con il nome che conosciamo oggi; e probabilmente aveva ragione a sottolinearne le povere origini: lo Zoot Suit, così appariscente, era per queste comunità l’unico modo per farsi notare davvero e nel giro di pochi anni tutti raggiunse l’intero territorio degli Stati Uniti. A Los Angeles, ad esempio, questo abito largo divenne sinonimo di criminalità per via dei numerosi gangster che lo indossavano.
Purtroppo, l’avvento della Seconda Guerra Mondiale rappresentò un ostacolo non indifferente a questa nuova moda. I razionamenti obbligavano l’intera popolazione a fare un uso più moderato non solo del cibo e dell’acqua, ma anche delle stoffe utilizzate per i vestiti; inutile dire che uno Zoot Suit rappresentava, con la sua esagerata larghezza e l’elevato consumo di stoffa, un vero e proprio schiaffo a queste regole. Fu così che il prezzo di questi abiti schizzò alle stelle, perdendo così nel giro di poco tempo il suo status di vestito “povero”.
A causa di tutto ciò, chi indossava uno Zoot Suit era diventato agli occhi di molti come un nemico dello Stato. Fu questo uno dei motivi scatenanti delle Zoot Suit Riots (letteralmente, la rivolta delle Zoot Suit), che portarono i militari americani a compiere una serie di atti di violenza nei confronti delle comunità messicane; centinaia di marinai misero a ferro e fuoco Los Angeles nel maggio del 1943, cacciando e picchiando violentemente chiunque indossasse uno di questi abiti… con il tacito accordo delle forze dell’ordine.
L’eredità dello Zoot Suit nella cultura popolare
I tragici eventi di quegli anni posero fine a questa moda, che rimase però comunque nella memoria. A distanza di oltre mezzo secolo, lo Zoot Suit rimane un vero e proprio simbolo degli anni ‘40, soprattutto per gli appassionati di jazz e swing; la storia di questa sottocultura venne anche raccontata in un film, Zoot Suit, uscito nel 1981 per la regia di Luis Valdez. In questa pellicola si narra proprio della persecuzione dei latinoamericani. Un’opera significativa, inserita nella Biblioteca del Congresso per la sua rilevanza culturale.
Ma non finisce qui: nel 1964 gli Who intitolarono il loro primo singolo proprio Zoot Suit, riferendosi proprio a questo capo d’abbigliamento. Le controversie su questo abito, comunque, non mancano: anche un celebre simbolo delle minoranze come Malcolm X, nonostante ne abbia fatto uso in passato, ebbe modo di parlarne e di criticare duramente la sottocultura dello Zoot Suit… tanto da definire questi abiti dei “cappotti assassini imbottiti come la cella di un pazzo”. Tuttavia oggi ci piace ricordare da appassionati questo modo di vestire, adottandolo magari per una serata a tema: vi sentirete usciti dal 1941!